Soppressata (Photo: Fotolia)

 

Nel 596 i Longobardi conquistano Crotone grazie a Belisario, luogotenente di Giustiniano, sbarcato a Reggio Calabria. Risalita la penisola lungo il versante tirrenico porta con sé tradizioni e comportamenti sconosciuti in questo territorio. Su tutte: l’uso alimentare della carne cruda, insaccata e stagionata. Mille anni più tardi, in fuga dalle ritorsioni ottomane, numerosi abitanti dell’Illiria di fede cristiana ripopolano le colline ai piedi della Sila, lungo la valle del Crati, colpite da terremoti ed emigrazione. Essi hanno mantenuto sino ai giorni nostri sapere, lingua e cibo propri. Sapere, lingua e cibo tutti da scoprire: una nuova frontiera culturale, ancora autentica, a pochissimi nota. Cultura arbereshe. Tra i riti inalterati dal tempo, la lavorazione della carne di suino, attuale di casa in casa, d’animali allevati in condizioni semibrade, con cereali, frutta e verdura di seconda scelta e scarti della cucina. In zona hanno ripreso l’allevamento del suino nero di Calabria, restituito alla storia grazie all’intervento di alcuni allevatori. Per la soppressata bianca, ovvero priva di peperoncino come vuole la tradizione arbereshe, le carni del suino provengono da parti pregiate selezionate. In particolare sono utilizzate le sezioni anatomiche provenienti dal prosciutto privato del grasso e dei capillari; dal filetto; dalla spalla. Il pepe nero è aggiunto in grani nell’impasto, che prevede in ricetta anche sale di miniera e, se volontà del norcino, un goccio di vino d’uva gaglioppo. Una volta create, le soppressate sono messe in cesti di vimini, avvolte in lenzuoli di lino, e sottoposte a pressione con un coperchio di legno (da qui il termine soppressata). La conservazione avviene in locali ben areati e non è raro il consumo dopo un anno, se conservate in contenitori di vetro sotto sugna.

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Attanasio Marchianò 
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Piccola Cooperativa La Nuova Agricoltura 
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